Criminologia e Sociologia

14 maggio 2012
Il potere economico e il senso di gratificazione

Il potere economico e il senso di gratificazione

(“La Voce” di Rovigo 07.02.2012)

 

di Patrizia Trapella* e Luca Massaro**

 

Secondo i dati Eures, resi noti nel gennaio scorso relativamente all’anno 2009, in Italia si sono tolte la vita 2.986 persone. Il 5,6 per cento in più rispetto all'anno precedente.

Altro dato significativo che emerge dallo studio condotto sulla popolazione è la relazione che vede l'interdipendenza della crisi economica con il fenomeno suicidiario, nel senso che più si acuisce l’una più aumentano i casi di suicidio.

Dal punto di vista socio-criminologico essa non é una vera e propria novità – intendiamo la relazione tra condizione economica e suicidio; é ben nota agli studiosi. Da tempo.

E', invece, degna di riflessione l'analisi statistica quali-quantitativa del fenomeno esitata nel dato secondo cui i suicidi in disoccupati sono aumentati del 37,3 per cento rispetto all'anno precedente.

Ora si tratta di interpretare in maniera univoca tale dato che, ad una lettura distratta, potrebbe apparire di nessuna rilevanza.

In sostanza, i quesiti sono: perché la qualità di vita di una persona é sempre più legata al fattore economico e non al livello di benessere? Non stiamo parlando dell’assenza di malattia bensì di benessere fisico, psichico e sociale. Perché l'uomo sta identificando sempre più se stesso con il lavoro e con ciò che ne deriva direttamente (denaro)?

La risposta non è semplice nè semplicistica come potrebbe sembrare.

L'obiezione immediata che potrebbe essere mossa è: come fa ad essere felice un padre (e marito) di famiglia che non è in grado di garantire il sostentamento a sé e ai suoi congiunti? Difficile lo sia. E' vero; ma il punto critico è il livello di sostentamento (quantum) che viene richiesto (e imposto).

Noi pensiamo che, fatta eccezione per i casi di reale povertà, la prospettiva di giudizio delle persone dovrebbe cambiare. Essa dovrebbe fondarsi su un grado di sostentamento realmente collegato alle esigenze della famiglia e non a quelle che vengono create e promosse dai mass media, moda e pubblicità.

In sostanza, noi riteniamo possa trattarsi di un grave problema di identificazione. Noi non siamo quello che siamo. Siamo quello che i mass media, la moda, i films, la pubblicità, ecc. vogliono che noi siamo (o diventiamo).

L’ottica della dinamica dei mercati commerciali non è più quella che collocava il motore degli stessi nei bisogni da soddisfare in diverse maniere e in competizione tra loro. Ora, i bisogni vengono creati. Ad arte. A colpi di jingles. E la presa coscienza della realtà, dopo un’illusione, è sempre traumatica. E non perdona.

E’ ovvio. Non vogliamo esaurire e ridurre un argomento complesso come quello dei suicidi ricorrendo solamente ai fattori socio-economici quando sappiamo che vi sono anche problemi di depressione, solitudine, malattie croniche e incurabili, perdita della speranza e smarrimento dei rapporti affettivi, età avanzata …

Qualche giorno fa abbiamo sentito il prof. Vittorino Andreoli, noto psichiatra e scrittore, che raccontava un aneddoto illuminante sulla confusione che si struttura tra quello che desideriamo (forse, i nostri segreti) e quello che in effetti inseguiamo (o ci costringono a cercare).

Diversi anni fa, egli si trovava a San Francisco per motivi di studio – la città americana è nota per gli homeless (letteralmente, coloro che non hanno casa). Uno di questi attirò la sua attenzione. Egli portava i capelli lunghi e la barba alla maniera hippy e stava suonando la chitarra. Al collo portava un cartello che recitava: “I need nothing (traduzione: non ho bisogno di nulla)”.

Si era deciso a portare quel cartello perché la gente gli gettava del denaro. Ma non c’era bisogno. Egli era già felice.

 

*avvocato penalista **medico legale con master in criminologia e psichiatria forense. Entrambi Membri della Harvard Associates in Police Science, Baltimore.