Criminologia e Sociologia

14 maggio 2012
Le infinite strade della politica criminale

Le infinite strade della politica criminale

(“La Voce” di Rovigo

 

di Patrizia Trapella* e Luca Massaro**

La politica criminale è un'impegnativo banco di prova per qualsiasi nazione democratica che comporta l'adozione di strategie operative che obbediscono a criteri di prevenzione, monitoraggio e controllo del crimine. Tutto ciò impone un innegabile dispendio di risorse. Economiche soprattutto.

In questi giorni il tasto è dolente; ma il passo è obbligato.

In caso di gravi crisi economico-finanziarie (e politiche) come questa che sta interessando  il nostro Paese, anche le spese destinate all'amministrazione della giustizia subiscono una contrazione. Il sistema penitenziario non ne è ovviamente esente e per tale motivo riteniamo siano doverose alcune serie riflessioni.

Secondo l'International Centre for Prison Studies (ICPS) – organo internazionale che assiste i governi e altre rilevanti agenzie statali a sviluppare appropriate politiche in tema di carcere e utilizzo della detenzione – al 31 agosto 2011 la popolazione dei detenuti in Italia era di 67.104 unità e l'indice della popolazione carceraria era di 110 per 100 mila abitanti su 60.830 mila abitanti; i detenuti in attesa di giudizio erano il 41,4 per cento, il numero degli istituti di pena era di 225. Inoltre, la capacità (capienza) ufficiale del sistema carcerario era di 45.647 posti e lo spazio di fatto occupato era del 147 per cento. Infine, l'aumento dei detenuti dal 1992 al 2010 é stato più di 20.000 unità.

In altre parole, traducendo tutte le cifre: in Italia è in atto un grave sovraffollamento carcerario con conseguente incremento del degrado della “condizione di detenuto” per il quale, tra l'altro, il Corte Europea ci ha già ripreso qualche anno fa (sentenza Corte Europea 16 luglio 2009, processo  Sulejmanovic contro  Italia).

Come si è soliti fare quando, per motivi a noi ignoti, la pianificazione gestionale della cosa pubblica è un evento straordinario, si ricorre a rimedi d'emergenza e l'emergenza diviene la regola.

In occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario 2011 era stato reso noto dal Ministero della Giustizia un piano (progetto di stabilizzazione del sistema carcerario) che prevedeva la realizzazione triennale di 11 nuovi istituti carcerari e di 20 nuovi padiglioni in ampliamento su istituti esistenti. Il tutto per una spesa preventivata di di 675 milioni di euro.

Bene. Vogliamo ricordare la notizia diffusa dall'Ansa quasi due anni fa (12.1.2010) la quale informava che gli istituti di pena pronti in tutta Italia erano 40! Alcuni completamente ultimati (il penitenziario di Gela o il carcere di Morcone), altri mai collaudati (carcere di Licata e di Codigoro), altri avevano mutato funzione (carcere di Villalba divenuto centro polifunzionale; quello di Irsina era diventato un deposito comunale). Altri ancora erano in costruzione (carcere di Revere con lavori fermi dal 2000).

Non è dato sapere quanti di questi siano stati attivati dal gennaio 2010 fino ad oggi e non vogliamo nemmeno confrontare la situazione carceraria del nostro paese con quella degli altri. Il punto non è questo.

La criticità della questione è la seguente: qual è il senso di ricorrere occasionalmente all'indulto o all'amnistia quali possibili strumenti di sfoltimento delle carceri (interpretazione impropria di tali istituti, ce ne rendiamo conto, in quanto essi nascono come strumenti di pacificazione sociale) quando disponiamo di istituti di pena già costruiti e idonei a ridurre il sovraffollamento carcerario? E qual è quello di prevedere la spesa in tre anni di 675 milioni di euro per costruire 11 nuovi istituti di pena e 20 padiglioni in altri già esistenti quando ve ne sono 40 pronti in tutta Italia? Ovvero, perché non ricorrere per determinate tipologie di reato e conseguentemente per determinate pene ad un maggior utilizzo di strumenti giuridici già esistenti nel nostro ordinamento, come ad esempio le misure alternative al carcere o promuovere il ricorso alla giustizia riparativa (lavori socialmente utili quali ad esempio la manutenzione delle strade, dei fossati, dei canali e delle aree verdi, l'assistenza di disabili … )? Strumenti giuridici questi che hanno dimostrato e stanno dimostrando promettenti risultati risocializzanti rispetto all'elevata recidiva di reato osservata nei detenuti normalmente istituzionalizzati e poi liberati.

Non pretendiamo risposte. Auspichiamo inversioni di rotta, soprattutto culturali.

 

*avvocato penalista **medico legale con master in criminologia e psichiatria forense. Membri della Harvard Associates in Police Science, Inc. Baltimore.